La Legge 120/2020 di conversione del D.L. n. 76, 16 luglio 2020, recante misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale, ha introdotto importanti novità in merito a:
- responsabilità erariale della Pubblica Amministrazione ex Legge 20/1994
- reato di abuso d’ufficio ex articolo 323 del Codice Penale
Con primo riferimento al c.d. “danno erariale”, la nuova normativa va a modificare l’articolo 1, comma 1, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, inserendo la previsione che “la prova del dolo richiede la dimostrazione della volontà dell’evento dannoso”. A seguito di tale modifica, ai fini di una condanna per responsabilità erariale a titolo doloso, sarà necessario provare che oggetto di volontà dell’agente sia il danno e non solo la mera condotta.
In tal modo viene maggiormente circoscritta e limitata la configurabilità di tale responsabilità.
Inoltre la novella normativa prevede che limitatamente ai fatti commessi dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino al 31 dicembre 2021, la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei Conti in materia di contabilità pubblica per l’azione di responsabilità di cui all’articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, è limitata ai casi in cui la produzione del danno conseguente alla condotta del soggetto agente è da lui dolosamente voluta.
Tale limitazione di responsabilità non si applica però ai danni causati da omissione o inerzia del soggetto agente.
In sostanza fino a fine 2021 la responsabilità erariale viene limitata ai soli casi di dolo, tranne i casi di omissione o inerzia per cui si continua a rispondere anche a titolo di colpa grave.
La ratio sottesa a tale modifica è che vada perseguito con maggiore severità chi non agisce per inerzia o negligenza, bloccando la spesa pubblica e l’apertura dei cantieri, rispetto a chi compie azioni anche se con errori formali. L’intento della norma è quello di rimuovere la c.d. “paura della firma”, ossia l’inazione degli amministratori dettata dal timore che vengano successivamente rilevate responsabilità a loro carico.
Di diverso avviso sul punto è però la Corte dei Conti che in una nota successiva all’approvazione del decreto ha evidenziato come, dati alla mano, tale intervento normativo si traduca in una sostanziale patente di impunità, a fronte di una giurisprudenza che già oggi è estremamente selettiva nei comportamenti sanzionati. I requisiti per configurare una colpa grave sono infatti già ora molto stringenti: fattispecie di intensa negligenza, sprezzante trascuratezza dei propri doveri, grave disinteresse nell’espletazione delle proprie funzioni.
Secondo la Corte dei Conti, in definitiva, eliminando la colpa grave non si accelera nulla e, diversamente, la cosiddetta paura della firma andrebbe combattuta rendendo più chiare le leggi.
Altro aspetto di novità contenuto nella L. 120/2020 riguarda il reato di abuso d’ufficio che viene sostanzialmente rimodulato.
Il Decreto Semplificazioni ha modificato l’articolo 323 c.p., configurando tale reato non più per ogni violazione di norme di legge o di regolamento bensì per violazione “di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità”.
Primo effetto di tale modifica è il restringimento delle condotte penalmente rilevanti ai sensi dell’articolo 323 c.p., perdendo la violazione delle norme regolamentari.
Il secondo effetto è che anche nell’ambito delle violazioni di legge non rileva una qualunque violazione ma è necessaria una violazione di specifiche ed espresse regole di condotta, escludendo così dal reato di abuso d’ufficio i casi di violazione dei principi generali.
Infine sono rese rilevanti solo le disposizioni legislative in relazione alle quali non residuino margini di discrezionalità. Sono così escluse dal reato quelle condotte qualificabili come eccesso di potere che ricorre quando nei provvedimenti discrezionali il potere viene esercitato per un fine diverso da quello per cui è attribuito.
In conclusione viene di molto ridotto il raggio d’azione dell’abuso d’ufficio, limitando questa fattispecie di reato soltanto alla violazione delle regole di condotta espressamente previste dalla legge, senza margini di discrezionalità, e non più anche dai regolamenti.
Anche in questo caso lo scopo è di superare l’asserita “sindrome della firma” in capo ai funzionari pubblici. Tale obiettivo viene perseguito al prezzo di rendere penalmente irrilevanti violazioni, anche gravi, di atti regolamentari, che sono spesso attuativi di norme di legge.
Il rischio concreto di tutto ciò è una grave deresponsabilizzazione della Pubblica Amministrazione, con possibili contorni criminogeni.
Non può inoltre non balzare all’occhio un’evidente discrasia tra questo restringimento di condotte penalmente rilevanti nella cornice dei reati contro la pubblica amministrazione con l’indirizzo del pugno duro precedentemente adottato nei confronti di soggetti che commettano reati contro la pubblica amministrazione, come per il caso del recente intervento c.d. “Spazzacorrotti”.
In conclusione per evitare il blocco dell’azione amministrativa e conseguentemente della spesa pubblica, la soluzione non può certamente essere un veloce colpo di spugna al sistema penale, idoneo solo a facilitare l’operato criminale dei dipendenti pubblici corrotti.
Appare invece necessario un quadro normativo settoriale chiaro, semplice e duraturo quanto più possibile per garantire certezze di comportamento sia alle stazioni appaltanti che alle imprese, direzione questa diametralmente opposta a quella intrapresa dalla Legge 120/2020 che presenta carattere transitorio e si sovrappone al D.Lgs. 50/2016 ancora pienamente operante.