Il frazionamento degli appalti pubblici e il rinnovo tacito e reiterato degli stessi rappresentano problematiche applicative frequenti. Sul punto è intervenuta la DELIBERA n. 628 dell’8 settembre 2021 dell’ANAC nell’ambito della valutazione dell’operato di un Comune.
L’Autorità ha ribadito il divieto di frazionare i contratti d’appalto al fine di mantenerli al di sotto degli importi per cui è consentito l’affidamento diretto, reiterandoli poi allo stesso affidatario con il meccanismo del rinnovo tacito (anch’esso vietato), derogando anche al principio di rotazione. Ciò vale in maniera particolare per quanto attiene l’affidamento diretto senza confronto competitivo quale istituto eccezionale, cui è possibile ricorrere nei casi tassativamente previsti dalla legge
È bene premettere che ai sensi dell’articolo 35, comma 6, del D.Lgs. 50/2016 “La scelta del metodo per il calcolo del valore stimato di un appalto o concessione non può essere fatta con l’intenzione di escluderlo dall’ambito di applicazione delle disposizioni del presente codice relative alle soglie europee. Un appalto non può essere frazionato allo scopo di evitare l’applicazione delle norme del presente codice tranne nel caso in cui ragioni oggettive lo giustifichino”.
Nel caso di specie affrontato dall’ANAC il Comune aveva proceduto ad affidamenti diretti, senza gara, in favore di un’unica ditta sottraendo reiteratamente per tale via al confronto competitivo e alla concorrenza il contratto. Infatti il servizio di gestione degli impianti di depurazione comunali era stato affidato senza gara nel 2014 perché stimato di importo inferiore alla soglia di € 40.000 e successivamente oggetto di ulteriori e sistematiche proroghe sino al 2020 attraverso il meccanismo del rinnovo tacito, fino ad un valore complessivo di € 250.000. Ciò costituisce il risultato del frazionamento di un’unica prestazione di un servizio di durata pluriennale avente un valore complessivo che, rapportato al tempo del primo affidamento, risulta superiore alla soglia di rilevanza comunitaria.
L’ANAC ricorda che l’articolo 6 della Legge 537/1993, come modificato dall’articolo 23 della Legge 62/05, e l’articolo 57, comma 7 del D.Lgs. 163/2006, dispongono il divieto di rinnovo tacito di tutti i contratti aventi ad oggetto forniture, servizi e lavori, comminando la nullità di quelli rinnovati tacitamente.
L’operato del Comune è stato censurato poiché, in deroga alle norme richiamate, ha scelto di reiterare affidamenti di durata annuale allo stesso contraente, relativamente ad una prestazione che sin dal principio prevedeva si dovesse estendere in diverse annualità.
Difatti la normativa dei contratti pubblici non contempla l’uso del frazionamento delle commesse e la prospettiva dell’ulteriore affidamento (o del rinnovo contrattuale) come strumento di enforcing della piena e corretta esecuzione, in quanto una simile accezione si presterebbe facilmente all’elusione della regola dell’evidenza pubblica, permettendo l’aggiramento delle soglie che impongono di rapportare la gravità delle procedure di affidamento al valore della commessa.
Pertanto, secondo l’Autorità, il Comune ha violato il divieto di artificioso frazionamento di appalti pubblici al fine di eludere le procedure di scelta del contraente previste dal Codice dei Contratti Pubblici non tenendo conto dei precedenti affidamenti conferiti alla stessa ditta, in spregio anche al principio di rotazione affermato dall’articolo 36, comma 1, del D.Lgs. n. 50/2016.
Vale rilevare che tali regole costituiscono attuazione dei principi di libera concorrenza, trasparenza, proporzionalità e di pubblicità immanenti nel diritto comunitario – in particolare per quanto attiene la concezione dell’affidamento diretto senza confronto competitivo come istituto eccezionale, cui è possibile ricorrere nei casi tassativamente previsti dalla legge.
Dello stesso avviso di recente (21.05.2021) si è pronunciato il Consiglio di Stato, Sezione III, con le pronunce n. 3971 e 3974 in cui è tornato ad affermare il divieto di frazionamento degli appalti pubblici (tranne che ragioni oggettive lo giustifichino) proprio con riferimento agli affidamenti diretti.
Nel caso di specie è stato rilevato il frazionamento del fabbisogno dell’Ente, non solo su base locale, ma anche su base temporale, posto che si è consentito l’utilizzo di una serie parallela di procedure di affidamento diretto, nell’ambito del territorio dell’ASL, per importi “estensibili” sino a 40.000 euro, teoricamente replicabili una volta che il fabbisogno torni a riquotarsi in sede locale.
Per il Consiglio di Stato è evidente che un siffatto modus procedendi scardina il principio di corretta programmazione del fabbisogno dell’Ente e di fatto vanifica l’utilizzo di strumenti e procedure contrattuali coniate dal Codice dei Contratti Pubblici quali, ad esempio, l’accordo quadro di cui all’articolo 54. È stata pertanto elusa, in assenza di ragioni oggettive, l’applicazione di procedure di evidenza pubblica maggiormente strutturate e garantiste.
Quindi sia l’ANAC che il Consiglio di Stato evidenziano l’importanza del rispetto del principio di corretta programmazione del fabbisogno dell’Ente al fine di evitare i frazionamenti artificiosi degli appalti, seguiti da reiterati rinnovi al medesimo affidatario, allo scopo di utilizzare lo strumento dell’affidamento diretto al posto di quelli concorrenziali previsti dal Codice dei Contratti Pubblici. Tali condotte determinano ovviamente la responsabilità del RUP. Ciò anche in virtù del fatto che inevitabilmente il livello di attenzione e controllo sugli affidamenti diretti si è alzato dopo le Semplificazioni introdotte che ne hanno esteso sensibilmente le soglie.
Dott. Giulio Delfino
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